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I miei two cents sul futuro del Leoncavallo

Il 22 ottobre ho partecipato all’assemblea cittadina sulle mosse da fare per restituire una casa al Leoncavallo, dopo lo sgombero del 21 agosto e la grande, maGGica, manifestazione del 6 settembre.

Comprare la sede

Procedo in modo sintetico e analitico (più o meno!) a elencare cosa vorrei che succedesse. Innanzi tutto vorrei che il Leoncavallo restasse in via Watteau, non credo che possa esistere un Leo lontano da lì. Per restare nella sua unica possibile sede, credo che l’unica strada sia quella dell’acquisto dell’immobile, il cui prezzo dovrebbe essere contrattato al massimo ribasso possibile, sfruttando il fatto che, dato il momento peculiare per quel che riguarda le costruzioni in città, probabilmente non sarebbe facile tirare su, in quell’area, altre palazzine da dieci piani a quattro zeri il metro quadro. C’è poi la tutela della Soprintendenza alle Belle Arti per i graffiti dello spazio Dauntaun: è un punto d’appoggio, magari non saldissimo, ma piazziamogli una leva e vediamo cosa si riesce a sollevare.

L’eventuale acquisto comporta due problemi, diversi, ma grossi tutti e due: uno economico e l’altro politico.

Punto politico

All’assemblea cittadina se ne è parlato tanto e su questo punto sono venute fuori le elaborazioni più suggestive, soprattutto quando si è parlato di riscrivere nella pratica il concetto di proprietà.
Abbandonare l’occupazione è doloroso, ma per una realtà come il Leo oggi non è praticabile considerare di occupare spazi: sarebbe un’azione già di per sé molto più difficile e pericolosa di qualche decennio fa e poi, se il Leoncavallo ha un punto debole, è che non ha le energie, i corpi, la sfrontatezza dei ventenni che servono per prendersi un posto con la forza.
E chiaramente non sto parlando di via Watteau, che da questo punto di vista è “andato”.

Provare a interpretare in modo innovativo e critico l’esperienza della proprietà, il nemico pubblico numero uno di qualsiasi anticapitalista, è una prospettiva affascinante, no?

Punto economico

Per quanto si possa fare una trattativa efficace, occorre tirare fuori da qualche parte dei milioni di euro.
Ci vuole una raccolta fondi eccezionale, che coinvolga le persone. Una testa, una piotta.
Niente cordate di imprenditori illuminati, come si è ventilato in questi mesi: abbiamo vomitato ai tempi dei capitani coraggiosi berlusconiani che non hanno evitato il fallimento di Alitalia, ecco i ricchi restino fuori, grazie.

Se non si raccoglie tutto, vuoi che non si riesca a ottenere abbastanza per un anticipo per poi accendere un mutuo?
Sì, sarebbe bello che il Comune interpretasse un ruolo da protagonista, ma anni fa, quando tutto sembrava pronto per l’entrata in possesso dell’area, sappiamo come è andata a finire: a schifio.
Insomma dai, non vedo alternative all’acquisto e ci sono istituti di credito con cui non è aberrante aprire un conto corrente o parlare di un mutuo.

Una nuova speranza (Star Wars copyleft)

Ora, per far cacciare dei soldi alle persone, occorre una motivazione convincente.
Non credo che la sola (r)esistenza del Leo sia sufficiente a far spalancare tanti borsellini.
Bisogna che questa crisi esiziale sia trasformata nella più grande delle occasioni: serve una proposta (o una serie di proposte coordinate) nuova, che vada oltre al mantenimento del pur fantastico posto dove vedere concerti a prezzi superpopolari (quello che, per la maggior parte dei milanesi compagni ma non troppo impegnati, è il Leoncavallo da parecchi anni).

Ci sono dei punti fermi, come la Terra Trema, o aree di azione da esplorare ex novo (in un Paese di cariatidi e persone sole, a me viene in mente per primo il tema degli anziani, da declinare in mille modi).
Ci vuole un po’ di fantasia, come diceva Andrea Cegna all’assemblea.

Il mio auspicione

E, a questo punto, concludo con un auspicio di carattere epistemologico.
La “proposta nuova” va elaborata a un tavolo costruito apposta. Anche questa è un’occasione.
Siamo (mi sono entusiasmato e uso la prima persona plurale) con le spalle al muro, senza quasi nulla da perdere, anzi, se sarà messo in sicurezza l’archivio trovando una sede alle Mamme Antifasciste, non ci sarà proprio più nulla da perdere: quale migliore opportunità per costruire qualcosa di inedito?

Il mio sogno bagnato: vedere un tavolo dove la vecchia guardia del Leo si fa contaminare da idee varie e spontanee.
Non parlo di un’altra assemblea cittadina, ma di un comitato molto più esecutivo, che elabori davvero delle proposte.
Radio Pop nacque quasi a tavolino, quando varie formazioni extraparlamentari selezionarono ciascuna uno o due rappresentanti per formare un laboratorio creativo.
Il risultato fu che quel consesso di persone, ciascuna col suo mandato partitico, superò in capacità di elaborazione i singoli partiti mandatari.
Non è possibile replicare, attualizzandola, un’esperienza di questo tipo?
Secondo me sì: vorrei vedere un gruppo formato da persone che arrivano da realtà che stanno dalla parte giusta.

In questo periodo si parla molto di intersezionalità dei movimenti e di ricomposizione della lotta; se il futuro del Leoncavallo fosse il terreno dove questa convergenza diventa possibile, sarebbe davvero un raggio di sol dell’Avvenire all’orizzonte.

(ho usato dappertutto il maschile sovraesteso, chiedo perdono dalle sabbie mobili novecentesche dove sono invischiato fino alle ginocchia)

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